«Si tratta del sogno che ho fatto stanotte e rivelarlo è un’esperienza così nuova che non vi rinuncerei neppure in cambio di una borsa da toletta piena di oggetti d’argento di squisita inutilità».

“Dreamers”, 12 sognatori: oggi, Oscar Wilde
Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900), scrittore, aforista, poeta, drammaturgo, giornalista e saggista irlandese dell’età vittoriana, esponente del decadentismo e dell’estetismo britannico.

Prima di scrivere questo sogno…
Prima di scrivere questo sogno ho studiato a lungo i processi che Wilde dovette subire a causa della sua omosessualità. Il 25 maggio 1895, la sentenza: colpevole, viene condannato per gross indencency a due anni di carcere e lavori forzati. Rinchiuso nella prigione di Holloway, poi in quella di Pentonville, lavorava sei ore al giorno a un mulino a ruota. Razioni di cibo minime, freddo, divieto di parlare con gli altri detenuti, isolamento. Lo scrittore perse vari chili in poco tempo e la sua salute peggiorò visibilmente.
Durante i primi tempi di prigionia, Wilde cadde ferendosi all’orecchio destro. Per questo fu ricoverato due mesi nell’ospedale della prigione e successivamente trasferito al carcere di Reading Goal.




La lettera
Qui, ogni mattina, la direzione faceva avere all’artista irlandese alcuni fogli di carta azzurra rigata col timbro secco del carcere, ed è proprio su questi fogli che Oscar Wilde scrisse al suo amante, il poeta Alfred Douglas, la lunga lettera nota col titolo di “De profundis”. Ma non solo. Ne scrisse diverse al suo amico (ed ex amante) Robert Ross e per una in particolare “si è servito di me”.
Mio caro Robbie,
sebbene sia passato appena un giorno dalla mia ultima lettera, ho necessità di scriverti nuovamente. A questa, unisco un insolito documento di cui devi assolutamente entrare in possesso in qualità di amico e di esecutore testamentario, per disporne dopo la mia morte. Non è un libro, un’opera teatrale, una poesia. Si tratta del sogno che ho fatto stanotte e rivelarlo è un’esperienza così nuova che non vi rinuncerei neppure in cambio di una borsa da toletta piena di oggetti d’argento di squisita inutilità (…)
Dunque, in allegato a questa lettera c’è il racconto del sogno di Oscar Wilde, scritto di mio-suo pugno.
Ma cos’ha sognato il grande artista irlandese?



“In un’ombra di porpora sul mare”
Un breve estratto per entrare nel vivo.
Sono sceso a camminare sulla sabbia fine contemplando le bolle schiumanti dell’onda, lo splendore del sole chino sull’orizzonte e la polvere danzante nel suo ultimo raggio. «La vita non è complicata» ho pensato ad alta voce. «Noi siamo complicati. La vita è semplice e le cose semplici sono quelle giuste. Guarda il risultato. È qui davanti a te. L’immagine della più alta bellezza artistica è in quest’ombra di porpora sul mare». Mi ci sono specchiato, lasciando che le stesse onde morbide lambissero gli stivali. Ero in splendida forma.
Tutto succede in quell’ombra di porpora sul mare, per questo e per molto altro ho-abbiamo dato questo titolo.
(…) Ho dato un titolo al mio sogno perché il titolo che si dà alla propria opera, poesia o pittura – e tutte le opere d’arte sono o poesia o pittura, e le migliori l’una e l’altra cosa insieme – è l’ultima sopravvivenza del coro greco e anche l’unica parte in cui l’artista stesso parli direttamente (…).


Che il suo nome non osa
Io sono l’amore che il suo nome non osa pronunciare, verseggiava Alfred Douglas – Bosie, ragazzo di rosa – nella sua “Two loves”.
Durante il processo, nel controinterrogatorio, il Pubblico Ministero Charles Gill lesse a Wilde proprio questa poesia e poi gli chiese: «Cos’è l’amore che non osa pronunciare il proprio nome?«
Wilde rispose: «L’Amore, che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare… Non c’è nulla di innaturale in ciò».


Proprio un amore
Ed è proprio un amore che Oscar Wilde sogna nel carcere di Reading.
Sulla rena ho appoggiato, allargandola con uno svolazzo, la coperta scozzese che avevo portato con me, per distendermi sopra e guardare il ragazzo che mi raggiungeva, un giovane sconosciuto – in vero non contava più di sedici anni, e la gioventù è splendida, merita la nostra reverenza, va sempre onorata – con la lieve barba sulle guance leggiadre, l’incarnato chiaro. La testa, stupendamente modellata, chinavasi alquanto di lato, quasi se il collo delicato sostenesse a fatica il peso di tanta bellezza. Le labbra parean fatte per una musica soave e gli occhi pensosi, dalle ciglia sentimentali, emanavano l’ingenuo stupore della più tenera purezza virginea; l’ultimo sole tuffava un raggio tremulo tra i suoi capelli biondi, e vi si mescolava (…).
Un ragazzo di sedici anni, quindi non è il suo “Bosie”, e Wilde ci dirà infatti che Alfred Douglas vedrà il mio sogno come un tradimento.
Ma come sarà questo amore? Potrà pronunciarlo, il suo nome? E poi, arriveranno altri personaggi o sarà solo un qualcosa di “vissuto a due?
Allora leggiamo “Dreamers”!
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