Incontro con le Giurie di selezione dell’8° Firenze FilmCorti Festival: Documentari

Cinque giurati parlano della loro esperienza di giudici dei documentari

a cura di Maria Rosaria Perilli

Un processo finalizzato all’interpretazione della realtà

Quando reale è la vicenda narrata e reali sono ambientazione e personaggi, entriamo nel mondo dei “Documentari”. Naturalmente, pur essendo tutto molto concreto, il regista comunica, attraverso l’opera audiovisiva, la propria percezione dell’argomento trattato dandone una sua personale versione. Insomma, dalla scelta dello stile, alle inquadrature, al montaggio, fino al sonoro, la costruzione del documentario è un processo comunque finalizzato all’interpretazione del tangibile ma in lettura soggettiva.

Criteri di valutazione

Molti documentaristi ci hanno preferiti partecipando con i loro lavori all’8a edizione del nostro Festival quindi anche in questo terzo appuntamento ci rivolgiamo ai giudici di preselezione per comprendere i criteri di valutazione relativi al genere. Come e perché determinati corti superano gli altri nel punteggio arrivando così alla fase finale, questa gestita dalla giuria di qualità. Ma non vogliamo dare una spiegazione generalista, che sarebbe completamente inutile, piuttosto entrare nel particolare attraverso qualcosa di più intrigante. E sempre grazie alle domande dei nostri amici appassionati di cinema. Ve li presentiamo subito.

Gli intervistatori

Giovanni Granatelli
Francesca Rita Rombolà
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A rivolgere le domande ai giurati della sezione “Documentari” sono oggi Giovanni Granatelli, scrittore e poeta nonché consulente per lo sviluppo degli editori di una grande rete promozionale italiana, e Francesca Rita Rombolà, poetessa, scrittrice e blogger di poesiaeletteratura.it

La domanda di Giovanni Granatelli: «Quanto deve il cinema documentaristico alla tradizione cinematografica complessiva e quanto invece ha dovuto o voluto costruire e seguire degli stilemi propri?»
E quella di Francesca Rita Rombolà: «C’è poesia in un documentario? E se sì, come viene intesa dal regista, in primis, e poi dallo spettatore?»

Le risposte dei cinque giudici

Cominciamo con la fotografa “per passione” Chiara Fazzino.

«Vedi, Giovanni, io credo che il cinema documentaristico debba molto al grande cinema. La sua forza, infatti, sta proprio nel narrare temi importanti o grandi storie di vita allo stesso modo di una grande sceneggiatura. Ci regala passione e sentimento, ci fa piangere e riflettere, tutto usando uno stile narrativo incisivo e spesso legato a una grande fotografia. Francesca, no, non direi che c’è poesia. Il cinema documentaristico ha una forte spinta narrativa. Le grandi storie ci fanno sognare, i temi di attualità ci aiutano a capire. Un bravo regista riesce a far arrivare il messaggio, noi come spettatori dobbiamo farlo nostro e cercare di capire l’essenza del messaggio stesso».

Adesso Silvia Leonetti, compositrice di musica per cinema e tv.

 «Il cinema documentaristico, Giovanni, deve molto al cinema tradizionale. Negli ultimi anni il documentario è cambiato tanto. Ad esempio si parla molto di docufilm e possiamo notare che prevale sempre di più il documentario che narrativamente e tecnicamente assomiglia al film cinema. Sì Francesca, c’è poesia in alcuni documentari. Dipende dal soggetto. Premetto che non sono una regista però penso che la poesia la s’intenda sotto molti aspetti, anche tecnici, dal montaggio all’esposizione della trama. Come spettatore è troppo soggettivo. Per me può essere poetico un soggetto mentre per altri no».

Continuiamo con la filmmaker Francesca Guglielmi

«Giovanni, a mio avviso il cinema documentaristico si è costruito all’interno dell’esperienza cinematografica complessiva per poi pian piano distaccarsi in alcuni aspetti tecnici che lo caratterizzano. In particolare, le tematiche e i soggetti del cinema documentaristico spesso necessitano di una prontezza e improvvisazione tali che nel cinema “di finzione” non vengono richiesti. Francesca, assolutamente sì. Se si guarda soprattutto al potere evocativo di un componimento poetico è possibile affermare che il documentario porta con sé poesia. Attraverso l’indagine e la profondità con la quale si trattano temi ed esperienze reali, infatti, il genere documentaristico, ha un potere evocativo che viene inteso dal regista come una missione e dallo spettatore come un dono di condivisione».

Passiamo a Oronzo Ricci, pittore, polistrumentista e scrittore

«Sai Giovanni, le sale cinematografiche, prima che sale cinema, erano luoghi appartati e oscurati nei quali assistere alla proiezione di diversi film della durata di alcuni minuti. Erano attrazioni e i soggetti possiamo considerarli documentari. La macchina da presa era fissa; le carrellate, i montaggi e le innovazioni tecnologiche hanno dato la possibilità di creare generi. I documentari hanno usato e fatto propri i nuovi sistemi per arricchire il linguaggio. Vengo a te, Francesca. Sono certo che anche tu ricorderai “e per le vie dorate e gli orti”, un verso di Leopardi che mi sovviene ogni qualvolta i miei occhi vibrano per simpatia in presenza di alcune frequenze luminose. Non osservo il fenomeno ma avverto la poesia. Quando in un documentario emerge ciò che si vuole dire su come si dice, questa è poesia».

E chiudiamo con la pittrice sincronica Vittoria Angela Romei

«Il cinema nasce documentario, Giovanni; successivamente svolge la funzione di cristallizzatore di eventi teatrali e con le innovazioni tecnologiche esce dagli studi, ampliando notevolmente le possibilità espressive. Il documentario trova nel bagaglio tecnologico che si adegua ai tempi un’occasione per arricchire il linguaggio e consentire di spaziare in luoghi inusitati e inopinati. Sai, Francesca, la poesia è più aderente al documentario che ad altri generi; questo non significa che sia presente costantemente. Noto che i registi particolarmente sensibili usano il mezzo poetico in quanto amplifica l’impatto sul piano emozionale, con una risposta da parte dello spettatore a livello subliminale, senza possibilità di sottrarsi».

Conclusioni

Davvero stimolanti i quesiti di Giovanni Granatelli e Francesca Rita Rombolà. Era quanto cercavamo: un imput che permettesse, attraverso le risposte dei giurati, di conoscere un po’ meglio il mondo silenzioso, quasi intimo, della visione di un documentario con responsabilità di valutazione. Quindi… grazie Giovanni, grazie Francesca. E grazie ai giurati e a voi lettori. Noi di Rive Gauche saremo ancora qui, la prossima settimana, per l’incontro di parole scritte con altre parole scritte: tutte quelle che si trovano nelle “Sceneggiature”.

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