Ungaretti: “Uno di quei pomeriggi d’inizio primavera” di Maria Rosaria Perilli

Giuseppe Ungaretti a Palinuro e Pisciotta

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(Maria Rosaria Perilli) Mi trovo qui, negli stessi luoghi, a 89 anni da lui: Giuseppe Ungaretti. Del suo viaggio nel Mezzogiorno – in realtà la sola Campania e i suoi itinerari più suggestivi, densi di storia – ho deciso di ripercorrere due tappe, quelle del 5 maggio 1932, così, anche io “senza segretario”, vado a scriverne. E a mostrarle. Se non posseggo (purtroppo) le belle parole, sontuose e ricche, del grande poeta, in compenso ho un accompagnatore con tanto di macchina fotografica, e allora questi occhi potranno diventare i vostri perché si tratta di posti che, credetemi, vale davvero la pena vedere.

Uno di quei pomeriggi d’inizio primavera

Prima di cominciare la passeggiata mi sono fermata a leggere. Su un masso, con intorno uno scenario di quelli definiti, a giusta ragione, mozzafiato. Estate piena, un luglio di sole rovente, eppure potrei indicare i miei istanti il ritorno a “uno di quei pomeriggi d’inizio primavera, quando tutto sembra fermo e anche stupito”: l’acqua quasi sprofondava allo sguardo, trasparente, lucida, appena increspata.

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Quel nocchiero…

Ecco il mare di Palinuro, il porto con ancora le sue casette bianche, “la sabbia del letto come pettinata soavemente” e l’alta roccia, forse davvero irrigidita “dalla chiarissima pupilla di Medusa”. A guardarla il richiamo mitologico viene spontaneo, la pietra ha un che di vivo, un’immobilità quasi forzata, pare che da un momento all’altro possa svegliarsi, e parlare. Raccontarci di quel nocchiero (da cui il paese prende il nome, per restare nella mitologia) cantato da Virgilio, del suo naufragio e della sua morte.

Le case arrampicate

Su questi scogli le onde battono forte, sollevano la schiuma, mentre appena più in là diventano lievi, piccole creste bianche fra l’azzurro corposo e limpido al tempo stesso, quasi immobile. Le case sembrano arrampicate al promontorio, stanno una sull’altra, e in basso gli alberi, come volessero proteggerle. Ma pure più in alto troviamo una distesa di arbusti, come volessero nasconderle.

Location di film

Oggi Palinuro è una cittadina balneare molto trafficata, tutta bar, ristoranti, e coste frequentatissime. La spiaggia dell’Arco Naturale è stata scelta come location in vari film, quali Gli argonauti 2, Ercole alla conquista di Atlantide, Scontro di titani e Wonder Woman, mentre quella delle Saline e il centro del paese, con alcuni dei suoi hotel più importanti, compare in Vacanze d’estate e Provocazione fatale. In Noi credevamo, del regista partenopeo Mario Martone, troviamo invece le immagini di Capo Palinuro e della retrostante valle del Mingardo. 

Pisciotta sempre uguale

In questo momento non ci sono troupe cinematografiche, però molti turisti, e quindi io, per entrare meglio nel tempo di Ungaretti, compio il mio percorso nel tardo pomeriggio, quando Palinuro è un po’ quieta, lasciandomela alle spalle prima che si alzino “le vampe del tramonto”. E al mio sguardo si apre, salendo solo di pochi chilometri, un’immensità fatta di verde, quella di Pisciotta, borgo che “si svolge in tre fasce su una parete: la più alta è il vecchio paese, di case gravi e brune e grandi arcate; in mezzo, sono ulivi sparsi come pecore a frotte; la terza, a livello dell’acqua, la formano case nuove e leggere, i cui muri sembrano torniti dall’aria in peristili”. Ed è proprio lei, anche ai giorni odierni, uguale.

Pisciotta

“Ulivi, sempre ulivi!”

Con le casette vecchie e un po’ malandate sul cocuzzolo, una parete di ulivi – “ulivi, sempre ulivi!” dice infatti Ungaretti – nella parte centrale, mentre, alla marina, le case nuove. Per andare dalla cima alla parte bassa, e più il contrario, occorre la macchina, specialmente se non si è particolarmente allenati, però è una camminata che merita e che consiglio. Anche per via di questo misto di antico e moderno, della tanta natura incontrata a ogni passo, ma soprattutto del silenzio e del profumo quasi selvatico che si respira. Cangiante, va dal delicato al forte, dai fiori d’acacia alle ginestre al finocchietto, fino a quello tipico di alghe e salmastro.

I pescatori di alici

In quest’ora vicina al crepuscolo i pescatori non rientrano, piuttosto si preparano alla famosissima pesca detta “di menaica”, un rito risalente all’epoca classica e che si svolge di notte, quando il mare è molto calmo, rito praticato ormai solo da una piccola flotta di gozzi, chiamati appunto “menaiche” (la parola è di etimo incerto), ed esclusiva della Marina di Pisciotta: si tratta di alici caratterizzate da una qualità altissima, carne bianca tendente al rosa e un gusto particolare, molto intenso ma leggero al contempo. Le alici di menaica si differenziano a cominciare dal modo in cui vengono pescate, ossia gettando a mare le “menaidi”, reti artigianali dal caratteristico colore rosso la cui forma particolare fa sì che vengano prese solo le alici più grandi, catturate in modo che si dissanguino direttamente in acqua. I pescatori tirano le reti a mano ed estraggono delicatamente le alici una per una dalle maglie, eliminando testa e interiora, sistemandole in cassette di legno senza ghiaccio né altro refrigerante, per lavorarle poi al primo mattino: si lavano in salamoia e si dispongono accuratamente in vasetti di terracotta che ne contengono pochi etti (in passato, quando il pesce era più abbondante, si usavano le “terzarole”, barili di legno molto capienti). Dopo la copertura e la pressatura con pietre, devono stagionare almeno sei mesi prima di mangiarle, fresche o sotto sale, crude o cotte. Molte ricette sono semplicissime, come l’insalata di alici crude, appena sbiancate dal limone e condite con olio, aglio e prezzemolo, o il velocissimo sugo di alici, ottimo sugli spaghetti: basta friggere le alici con un po’ di olio, aglio, pomodorini e peperoncino.
Più difficoltose, ma sempre basate su pochi ingredienti, sono le inchiappate (alici aperte, farcite con formaggio caprino, uova, aglio e prezzemolo, infarinate, fritte e cotte nella salsa di pomodoro), le ammollicate (alici spaccate, condite con mollica di pane, aglio, olio e prezzemolo), e il cauraro, a base di patate, fave, alici e finocchietto selvatico.

“Viaggio nel mezzogiorno”

Quindi chi ama il pesce, a Pisciotta ha anche l’opportunità di gustare pietanze particolari, uniche, e se Ungaretti non ne ha parlato è solo perché sicuramente non avrà avuto modo di assaggiarle. Ma ha detto cose in perfezione assoluta, di Palinuro e Pisciotta, nel suo “Viaggio nel Mezzogiorno”, libro da lui stesso definito bello, “più bello di quanto potessi aspettarmi”, come scriveva il 14 gennaio del 1960 ad Alberto Mondadori.
Io invece me lo aspettavo ed è stato piacevole ritrovare “il suo tutto” in questo percorso di terra, sabbia e mare. Anche la giusta poesia, di cui ogni ogni angolo, ogni viuzza sembra fatta, e che ovviamente  emerge nella raffinatezza della prosa del nostro Maestro.

https://rivegauche-filmecritica.com/2021/07/19/ungaretti-uno-di-quei-pomeriggi-dinizio-primavera-di-maria-rosaria-perilli/

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